Il tema della tassazione degli immobili posseduti da coniugi con residenze diverse non trova pace.
Qualche anno fa, facendo leva sulla nuova formulazione letterale della normativa IMU, la Suprema Corte aveva completamente ribaltato quello che sembrava essere un approdo ormai certo, assicurato dalle copiose sentenze di legittimità sulla precedente normativa ICI.
Recentemente l’arresto della Cassazione, secondo cui in presenza di coniugi aventi residenza in abitazioni diverse l’esenzione non spetta per alcuno degli immobili, è stato tuttavia capovolto dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 209 del 13.09.2022, la quale ha riconosciuto il diritto all’esenzione per i coniugi aventi residenze diverse.
Secondo la Corte, infatti, in un contesto come quello attuale, caratterizzato dall’aumento della mobilità nel mercato del lavoro, dallo sviluppo dei sistemi di trasporto e tecnologici, dall’evoluzione dei costumi, è sempre meno rara l’ipotesi che persone unite in matrimonio o unite civilmente concordino di vivere in luoghi diversi, ricongiungendosi periodicamente, ad esempio nel fine settimana, rimanendo nell’ambito di una comunione materiale e spirituale.
In tal caso, ai fini del riconoscimento dell’esenzione dell’abitazione principale, non ritenere sufficiente la residenza e la dimora abituale in un determinato immobile del singolo e far riferimento al suo nucleo familiare determina una evidente discriminazione rispetto a chi, in quanto singolo o convivente di fatto, si vede riconosciuto il suddetto beneficio al semplice sussistere del doppio contestuale requisito della residenza e della dimora abituale nell’immobile di cui sia possessore.
Quello che si legge nella sentenza della Consulta è un no all’automatica esclusione dell’esenzione in caso di scissione del nucleo familiare.
Ciò d’altro canto non comporta l’automatico diritto all’esenzione per i coniugi aventi residenza in luoghi diversi, non potendosi ovviamente legittimare situazioni elusive. Resta, difatti, ferma la ratio dell’esenzione, che risiede nella volontà del Legislatore di escludere l’applicazione dell’imposta per gli immobili – e solo per quelli – destinati ad abitazione principale.
Anche dopo la pronuncia della Corte Costituzionale, dunque, occorrerà verificare la corrispondenza tra il dato formale delle residenza e quello sostanziale della dimora abituale: a tal fine i Comuni dispongono di strumenti per controllare la veridicità delle dichiarazioni, tra cui, in base a quanto previsto dall’art. 2, comma 10, lettera c), punto 2, del d.lgs. n. 23 del 2011, anche l’accesso ai dati relativi alla somministrazione di energia elettrica, di servizi idrici e del gas relativi agli immobili ubicati nel proprio territorio; elementi dai quali si può riscontrare l’esistenza o meno di una dimora abituale.
E’ probabile che a seguito della pronuncia della Consulta, tanti contribuenti, che – sulla scorta della rigorosa giurisprudenza consolidata - avevano versato l’imposta (nei termini o a mezzo ravvedimento), presentino istanza di rimborso ove ancora nei termini ai sensi e per gli effetti dell’art. 1, co. 164, L. n. 296/2006 (cinque anni dal giorno del versamento).
Altra questione attiene alle verifiche effettuate dai Comuni negli anni precedenti.
Ed invero, per gli accertamenti non impugnati e divenuti definitivi occorre infatti ricordare che secondo la Corte Costituzionale (vds. sent. C. Cost. 11.02.2015 n. 10) «l'efficacia retroattiva delle pronunce di illegittimità costituzionale è (e non può non essere) principio generale valevole nei giudizi davanti a questa Corte; esso, tuttavia, non è privo di limiti. Anzitutto è pacifico che l'efficacia delle sentenze di accoglimento non retroagisce fino al punto di travolgere le "situazioni giuridiche comunque divenute irrevocabili" ovvero i "rapporti esauriti". Diversamente ne risulterebbe compromessa la certezza dei rapporti giuridici (sentenze n. 49 del 1970, n. 26 del 1969, n. 58 del 1967 e n. 127 del 1966). Pertanto, il principio della retroattività "vale (...) soltanto per i rapporti tuttora pendenti, con conseguente esclusione di quelli esauriti, i quali rimangono regolati dalla legge dichiarata invalida" (sentenza n. 139 del 1984, ripresa da ultimo dalla sentenza n. 1 del 2014)». E «per rapporti esauriti devono intendersi quelli per cui sia intervenuto un giudicato o un atto amministrativo definitivo o, comunque, siano scaduti i termini concessi al contribuente per mettere in discussione la debenza dell’imposta» (Cass. n. 5206/1999).